Galleria "Brandale" (Savona)

1981Pedro Fiori

 

Quando un artista è autentico – come lo è Gennaro Corbi – ricrea sempre i suoi sogni o le sue angosce oppure i suoi fantasmi. Senza un dramma intimo la creazione diventa soltanto una giustificazione: non una necessità biologica. Questo svisceramento che scava negli strati profondi dell'inconscio, in quelli dei sentimenti, appare legato – come il sangue alle arterie - alla ricerca espressiva del napoletano Corbi. Freud vedrebbe le immagini di Corbi come sublimazioni di ciò che ci corrode. Borges direbbe – con la sua metafora conjentural – che sono uno sdoppiamento della personalità. Io aggiungerei: le immagini di Corbi sono ferite dell'esistenza, sogni mutilati, speranze di quella tenerezza dell'infanzia che l'uomo si porta dentro come un coagulo.

Il conflitto dei sentimenti è fecondo per la creazione ma doloroso per un artista. L'illuminazione onirica e il laceramento esistenziale costituiscono il nodo inscindibile del temperamento del Corbi: posso dire che la sua pittura e il suo ritratto emotivo e il suo ritratto emotivo è la sua pittura. Ricordo ancora il nostro dialogo del mese scorso in Piazza del Duomo. La notte circondava le nostre parole. Parlavamo d'arte, di poesia, di musica, scrutavamo il mistero della vita:l'ineluttabile senso dell'universo che non potremo mai decifrare. L'umanità di Corbi attanagliava i suoi gesti. C'era in lui quella dimensione della solitudine, quel voler esprimere tutto all'improvviso per non soffocare, che avvolgono i suoi quadri. C'era quello spazio simbolico, emblematico dei sogni, che personalizza le sue opere.

Una figuralità, la sua, che si espande dunque fra i simboli dell'onirismo e la visceralità dell'esistenza . Un linguaggio trascendente, ancestrale e attuale come l'amore e la sofferenza. All'interno dell'odierna area di valori, che ho definito “figuralità simbolica”, Corbi ha indubbiamente il suo posto. La ricerca dialettica della sua espressione è stata continua, ossessiva,sofferta come la verità umana ed estetica che si è costruito. Dalla sua prima figurazione, dai ritratti, da una realtà descritta attraverso palpitanti, poetici cromatismi, è arrivato a questa essenzialità del reale. Ha compiuto una notevole sintesi nelle forme e nel colore. Le strutture delle immagini sono state infatti ridotte ad un alfabeto. La materia cromatica si è scarnificata nelle diverse stesure, si è enucleata nell'ascetismo del biaco e del grigio, di alcune gamme mortificate, calibrate nei pigmenti. Lo spazio ( e il vuoto) è diventato un protagonista del dipinto.

Invece di rappresentare una liberazione psicologica dell'essere umano nella società, i mass-media

hanno acutizzato l'isolamento comunicativo, l'alienazione, l'asfissia dell'io. Corbi, con i suoi significati allusivi, simbolici, verifica la solitudine di questa situazione. Cerca, infine, di far uscire l'uomo ( noi stessi) da tale, direi, “ soggettività con il capestro “. E' una ricerca dell'identità attraverso il calvario della propria identità. Guardando i suoi quadri, entrando nel suo mondo, non si può fare a meno di rimanere colpiti dalle immagini: squarci della sensibilità, sensi d'angoscia, fratture della memoria. Tutto si svolge nella sua iconografia come un rituale amaro in bilico fra l'utopia dei sogni e la ferocia della vita. E' uno scenario abitato dal silenzio, chiuso in uno spazio delimitato ( gli interni ) dove la realtà, l'uomo e gli oggetti manifestano la loro precarietà nella sequenza dei frammenti. Il titolo di alcune delle sue opere - “ Progetto per una camera di vetro “ - simboleggia, in modo epifanico, le vibrazioni comunicanti di questa poesia dei sentimenti che è, alla radice, la pittura di Corbi.



Mercato arte contemporanea - Conte Editori

 

1982Antonino De Bono

 

...Per entrare in argomento, va detto ch'egli ha fatto tesoro degli insegnamenti della pittura pompeiana ( primo e terzo stile) nell'inquadrare lo spazio, nel motivare piani e riquadri nei quali incasellare motivi, simboli, volti, gesti.

Usa spesso sottili fogli d'oro, richiamando alla mente gli sfondi del Beato Angelico intesi come essenza divina, aulicamente esaltati per elogiare la “ mistica rosa “ dantesca, eternati come simbolo dell'Empireo. In Gennaro Corbi l'oro ha lo scopo di alludere alla felicità perduta, al mitico Eden vagheggiato da Jean Jacques Rousseau allorché dialoga, nel “ Discorso sull'ineguaglianza” ( 1754) ce “l'uomo è per natura buono, ed è reso cattivo soltanto dalle istituzioni”.

L'artista immette talvolta un simbolo: la porta chiusa che s'apre alla vita, con una figurina di donna che emerge dalle quintessenze del tempo: un pipistrello che svolazza indisturbato nell'oceano dell'angoscia; un nugolo di bimbi memorizzati che mimano un episodio della loro infanzia; la deposizione, resa come ricupero archeologico (collage ed olio su tela), nei quali gli elementi morti si sposano allo spazio etico dei fiamminghi; la facciata dell'officina, esultante di suoni e di lettere e di macchine, che sprizza sulla strada le sue interiora anatomizzate e catapultate in un rigurgito di numeri, di tensioni, di sbarre, di tondini di ferro.

Gennaro Corbi è maestro nel recepire la storia dell'arte, nell'assimilarla al massimo grado, e nel proseguire la dialettica del campo estetico con fine intuito e logica movenza.

A volte compare l'uomo demitizzato del nostro tempo, distrutto nell'intimo, sezionato e racchiuso in un complesso di colpe. Stilizzato, ascendente nella sintesi, intarsiato come un robot, legato da un filo alle figure ascetiche di Klimt, rappresenta il simbolo dell'umanità giunta sull'orlo della disperazione e della peste atomica.

galleria "San Carlo" (Napoli)

1985Arcangelo Izzo

 

Gennaro Corbi “ racconta “ con i colori l'ansia di attraversare la superficie del quadro, il desiderio di penetrare nello spazio dell'arte per scoprirsi nella pittura avido cannibale delle forme e dei moti della materia.

In questi continui “ viaggi “ dentro la tela, il mondo gli appare opposto alla terra per cui il manifestarsi dell' “ io “ traduce in eccedenza il massimo assorbimento della luce ( i quadri neri ) e il massimo assottigliamento del buio( scene paesaggi interni disannerati).

Questo procedere per semplice “ sfasamento “ entro le differenze discrete della materia, è, per altro, un uscire alla luce dagli ipogei disseminati sul territorio meridionale, un percorrimento, senza citazioni palesi, di tutta la cultura pittorica napoletana, un mettere a fuoco la vulcanica gioia del dipinger, minacciata allo stesso tempo dalla presenza dell' “altro “, dalla sua capacità di trasferirsi nell'opera in condizione di riserva.

Giocate sul piano di un arcano e vissuto spaesamento, le tele di Gennaro Corbi s'intessono, non tanto di una vera raffigurazione dello spazio, quanto di un'indefinibile percezione di esso, di uno spazio che sembra realizzato di fronte e dietro la superficie dipinta.

Questa condizione di mantenersi costantemente sotto i ( tristi ) tropici dell'arte consente allo stesso Corbi di dire che le sue pitture vivono al di là della tela dipinta perché nascono prima che siano colori, prima che siano quadri.